venerdì 22 ottobre 2010

Torino fc in Red Bull

Per chi non lo sapesse, pare che la Red Bull sia interessata all’acquisto del Torino calcio. I tifosi granata fremono di gioia. Gioia comprensibile, dopo aver sopportato negli ultimi anni gente come Aghemo, Cimminelli e Cairo. Un colosso come quello austriaco farebbe sognare chiunque. Anche stando a guardare i risultati ottenuti dopo aver acquisito il Salisburgo. 3 scudetti in 5 anni, grandi nomi e grandi allenatori.
Però attenti amici granata, perché la Red Bull è specializzata in occultamento di identità. L’Energy Drink vi mette le ali, ma in cambio bisogna dargli il proprio nome, la propria storia, il proprio passato, i propri colori. Vedere per credere ciò che è accaduto al sopracitato Salisburgo. Senza entrare troppo nel particolare mi limito a dirvi che adesso si chiama Red Bull Salzburg.
Ora, le maglie da granata diventerebbero bianco e rosse. E di conseguenza ci sarebbe da cambiare pure i cori allo stadio (“biancorossi alè”, come il Bari e il Vicenza). Il Toro diventerebbe qualcosa come Red Bull Torino, e scordiamoci di abbreviarlo in “Toro”. Perché con gli anni sicuramente diventerà la Red Bull. E a dirla tutta, UNA delle squadre Red Bull in un immenso franchising. Perché nella scuderia ci sono anche i New York Red Bull, i Red Bull Leipzig. Tutti con la stessa identica maglietta!
È la nuova frontiera del business? Il calcio come il basket? Con tanti Armani Jeans, Lottomatica e Benetton? Che tristezza, l’imprenditoria si appropria del nostro giocattolo. Quello che una volta era il giocattolo del popolo, della classe operaia.
Ho sentito un fracco di gente essere entusiasta dell’arrivo degli austriaci. Certo, fortuna vuole che il simbolo della RB siano due tori, pensa fossero state due zebre… Scherzi a parte, cambiare nome non è bello. Ricordo gli anni in cui la Fiorentina divenne Florentia Viola. È dura e umiliante non essere più se stessi.
E dimenticatevi anche il vecchio Fila, perché quelli lo buttano giù e ci fanno un Energy fuckin’store.

lunedì 18 ottobre 2010

Cambio della guardia?

Ultimi in classifica. Era una vita che non accadeva. Dall’annata della B. Campionato 2001-2002 con Vittorio alla presidenza e in panchina l’allenatore senza patentino Roberto Mancini. Quest’anno alla guida tecnica c’è il suo amichetto Sinisa Mihajlovic. Dicono largo ai giovani. Ma nel calcio no. Il calcio è roba per vecchi. Sono i vecchi maestri quelli che sanno guidare una squadra per bene. Sono i saggi cinquanta/sessantenni coloro che sanno cosa significano le parole moduli, schemi, adattabilità. In Italia non sono certo allenatori come Sinisa, o Leonardo, o Ciro Ferrara che ti portano in Champion’s League. Il nostro tecnico avrebbe dovuto fare la sua bella trafila invece di avere la presunzione di allenare una società come la Fiorentina dopo un esonero a Bologna e mezza stagione discreta a Catania.
Anche perché dopo tanti anni di carriera, oltre ad assimilare i suddetti concetti di moduli, schemi, adattabilità, un ct impara anche a fare una preparazione atletica degna di questo nome. Di modo da non avere tre quarti di squadra infortunata già a metà ottobre. E poi con l’esperienza, una persona impara a relazionarsi, senza stare a fare la tigre di Arkan con quattro sbarbatelli dalla flemma innata. Perchè tanto non serve a niente. Pretendere grinta da gente come Montolivo o Felipe è come pretendere che Paris Hilton giochi una partita nelle fila degli All Blacks.
Ma non voglio colpevolizzarlo eccessivamente. Perché in fondo il problema sta a monte. Già, perché è stata la società a scegliere Mihajlovic. Per risparmiare sull’ingaggio dell’allenatore ci si è liberati di Prandelli che guadagnava troppo e si è preso un giovane dalle ristrette pretese economiche. È ben chiaro ormai che i fratelli Della Valle si stiano disinteressando e distaccando dalla squadra, da quando hanno capito che non esiste alcuna possibilità di realizzare la Cittadella.
Però una grande fetta di responsabilità è anche di Corvino. La società non investe come i primi anni, è vero. Ma qualche euro l’ha comunque stanziato. E se il ds ha scelto di investirli con acquisti del calibro di Felipe, Bolatti, Cerci, Boruc allora significa che è meglio per lui cambiare mestiere. Perché se a me danno dieci euro per fare la spesa, certo non riempio il frigo, ma almeno qualcosa di buono lo compro comunque, non vado a spenderli tutti per uova scadute o banane annerite.
Quindi che fare? Bisogna che la società faccia la società, che il presidente diventi presidente, che l’allenatore impari ad allenare e il ds a comprare. Tanto varrebbe cambiare tutto che forse si fa prima e si torna a vincere. Perlomeno al Franchi. Perché tanto noi non si vince mai ‘na sega a priori allora meglio i vecchi tempi quando almeno non si facevano certe figuracce e venire a Firenze era una rogna per tutti e almeno a casa nostra ci si divertiva una domenica sì e una no.

giovedì 14 ottobre 2010

Ivan Bogdanov - la tigre di Zena

La cosa che ha fatto più pena della partita Italia-Serbia non è stata la cattiveria di Ivan Bogdanov nè la focosità dei serbi. Le vere cagate sono tre:
1) Mazzocchi che commenta e spettacolarizza l'accaduto manco fosse una partita in corso. Esaltatissimo quando grida: "Ecco che entra la poliziaaa! Attenzione, attenzioneee! Lo stadio applaude gli uomini in divisa!!"
2) il fatto che Ivan sia diventato una star e tra un mese lo vedremo a Matrix o a Porta a porta
3) Stankovic & Co. che fanno i simboli nazionalisti (a Di Canio tra un po'lo fucilavano e adesso si finge di non avere inteso).
Infine alcune considerazioni. Giusto punire l'italia. Nella partita dell'Heysel, la responsabilità venne affibbiata al Belgio paese in cui si giocò quella partita. Nel caso di martedì se tanto mi da tanto la responsabilità è italiana. Anche se non so come Maroni possa aver detto "Si è sfiorato un Heysel 2"!!! Che c'entrano l'uno con l'altro?!
In ultima analisi, io non identificherei quei serbi come ultras. Ho visto una serie di documentari chiamati "Curve infuocate". Guardate quello riguardante l'Inghilterra ed immediatamente dopo quello sui tifosi di Stella Rossa e Partizan. Trovate le differenze.

lunedì 4 ottobre 2010

La prima cosa bella - Paolo Virzì

La prima cosa bella è stato candidato come miglior film straniero all'Oscar 2011. La mia recensione su questo film è: “una stellina”. Alcune riviste traducono questo punteggio come “inguardabile”, altre come “pessimo”, altri critici più informali nella legenda indicano “meglio una pizza con gli amici”. Dopo l’ottimo Gomorra, è difficile credere che il film italiano più meritevole sia codesto (anche se non bisogna pretendere mai troppo da un premio, l’Oscar, che nel 1990 ha consegnato sette statuette a Balla coi lupi).
In breve, la storia è la seguente: una madre malata (Stefania Sandrelli) sta per andare all’altro mondo e viene circondata dai suoi cari negli ultimi gironi che le restano. E già ci si potrebbe fermare qui a discutere sulla semplicità di una trama trita e ritrita, che chiunque abbia un minimo di conoscenze di sceneggiature sa che il genitore malato, morente o morto è il primo e più facile espediente per riunire una famiglia separata da tempo.
Il regista Paolo Virzì, che io personalmente ho sempre stimato, ci conduce quindi in un viaggio temporale fatto di lunghi flashback attraverso gli occhi dei due figli interpretati da Valerio Mastrandrea e Claudia Pandolfi. Quel che ne esce fuori è un film di una noia pazzesca, e di una tristezza degna del neorealismo italiano, senza però la veridicità della prova attoriale simbolo di quel cinema. Infatti per tre quarti di film uno non vede l’ora che la vecchia schiatti così da poter tornarsene a casa a portare fuori il cane, o a giocare a Pro Evolution.
Se i film di Virzì in passato si erano fatti notare proprio per l’autenticità della recitazione (mi vengono in mente i toscanacci di Ovosodo o i siciliani di My name is Tanino) in La prima cosa bella i romanissimi Mastrandrea, Ramazzotti e Pandolfi, si prodigano in una pessima prova di livornese applicato. I dialoghi sono tutto un “Oh bellino tu sei”, “Suvvia piccina”, “Fallo a modino”, eccetera eccetera. Quando il vero abitante di Livorno è assai meno docile nei modi, anzi, il toscano in generale è ben noto per il suo smoccolare e smadonnare a iosa. Con questo non voglio dire che il film avrebbe dovuto essere blasfemo, però risulta come se i personaggi fossero avvolti da un’aura docile che del mero e simpatico grezzume livornese ha ben poco.
Da non tralasciare è la colonna sonora che fa da sfondo al tutto. Malika Ayane (solita cantante italiana che fa la solita musica italiana che parla dei soliti amori italiani) canta un brano che ha lo stesso titolo della pellicola. Si tratta di una reinterpretazione di una vecchia canzone di Nicola di Bari e Mogol. Un accenno al testo, poi ognuno pensi quel che vuole: “La senti questa voce/chi canta e` il mio cuore/amore amore amore”...
E comunque, tornando a Virzì, a sostegno di ogni mia tesi rimane sempre il punto numero uno: questo film è pallosissimo. Ma se alla fine dei conti La prima cosa bella dovesse veramente diventare l’erede de La vita è bella di Benigni e riuscire là dove Gomorra non è riuscito, ciò sarà l’ennesima riprova di quanto il nostra cinema faccia pena.